Sentiero naturalistico di Maranza
Testo tratto da "Guida al percorso naturalistico forestale di Maranza - Progetto pilota per la valorizzazione ambientale e turistica delle proprietà si Comuni, Comunità di villaggio, Proprietà collettive"
Premessa
Ideato nell’anno 1988 il percorso naturalistico-forestale della Maranza è stato realizzato nel corso degli anni 1995 e 1996 con il finanziamento delle opere da parte del comune di Trento, dell’Unione Europea e del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, tramite l’attivazione del “Progetto pilota per la valorizzazione ambientale e turistica delle proprietà di Comuni, Comunità di Villaggio, proprietà collettive”.
Il percorso, articolato su un anello della lunghezza complessiva di circa 5,3 chilometri e caratterizzato da lievi saliscendi, si snoda su sentieri, strade forestali e piste d’esbosco realizzate nel corso dell’ultimo ventennio.
La quota massima, pari a circa 1240 metri, viene raggiunta in corrispondenza delle località “Calcara dei Frati” e “Busa dei Pezi”, la quota minima, pari a circa 1070 metri, è situata poco oltre il capitello, al limite meridionale del prato presso il Rifugio Maranza.
Il tempo mediamente necessario per coprire l’intero percorso, valutato ovviamente senza le varie soste, è pari a circa 70-80 minuti.
È importante ricordare che è possibile il rientro anticipato al Rifugio Maranza sia dalla località Prà dei Albi (primo anello ridotto della lunghezza complessiva di 2,3 chilometri), sia dalla località Malga Nova (secondo anello ridotto della lunghezza complessiva di circa 3,7 chilometri).
Questa passeggiata è stata realizzata principalmente per rendere operativa una proposta didattico-culturale che si ritiene possa essere particolarmente gradita sia da parte del mondo scolastico, sia da parte dei sempre più numerosi amanti della natura e della quiete.
Il percorso è stato attivato in questa località poiché la stessa è caratterizzata da una interessante variabilità di ambienti forestali presenti in un’area di estensione relativamente ridotta, difficilmente riscontrabile in altre zone.
I boschi che si percorrono sono rappresentati dal querceto caducifoglio, che costituisce l’orlatura termofila e xerofila della vegetazione del piano montano, localizzato nelle aree più asciutte e soleggiate, dalla faggeta, composta in alcune piccole aree da individui monumentali, dall’abetina, in lenta espansione, dal lariceto, popolamento transitorio con successioni in prevalenza di faggio e abeti, dalla pineta, ormai frammentata e in progressiva riduzione.
Si consiglia di percorrere l’itinerario in senso antiorario, ovvero partendo in direzione sud, attraverso il prato e quindi verso il belvedere, posto su un affioramento roccioso in posizione dominante sopra la Valle dell’Adige.
Anche nella guida al percorso l’itinerario viene descritto in senso antiorario, sia per poter affrontare all’inizio della passeggiata i tratti in salita più assolati, sia per poter prendere subito visione delle componenti floristiche che caratterizzano i piani vegetazionali più bassi della montagna.
Il percorso è indicato sul terreno da pali segnavia con impressa a fuoco la foglia della quercia, simbolo scelto che manifesta il preminente indirizzo botanico della passeggiata.
I cartellini affissi sui pali segnalano i nomi delle specie forestali e alcune tabelle descrivono piante di rilevante sviluppo e associazioni forestali che caratterizzano gli ambienti lungo il percorso.
Dopo il rifugio Maranza si segnala un secondo edificio dove, in caso di maltempo, è possibile trovare riparo: si tratta di Malga Nova nella quale è situato un bivacco sempre aperto a disposizione degli escursionisti.
Su tutto il percorso il pubblico transito di mezzi motorizzati è vietato. I veicoli autorizzati a transitare sono solo quelli dell’Azienda forestale, quelli dei Censiti impegnati nei periodici lavori di taglio della legna da ardere e quelli degli affittuari del rifugio Malga Nova.
Visitando la foresta possiamo renderci conto di essere in un ambiente di eccezionale importanza per la nostra vita: una immensa fabbrica nella quali gli alberi, ma anche gli arbusti, le erbe, i muschi, i licheni e le più microscopiche alghe, tutti in perfetta armonia, senza emissione di rumori, senza produzioni di residui inutilizzabili e dannosi e quindi senza alcuno spreco, producono gli elementi base indispensabili per la vita, creando, alimentando e purificando l’atmosfera terrestre.
Dall’analisi dell’insieme bosco potremo inoltre trarre le più forti emozioni, Emozioni dovute alla presenza e all’alternanza di innumerevoli forme e sfumature di colore, con elementi simili ma mai uguali per forma, con tronchi, rami e foglie sempre diversi tra loro. Emozioni derivanti dai rumori ovattati, mai fastidiosi, dai silenzi irreali, a volte angoscianti, dagli odori, intensi o appena percettibili, dalla dinamica di luci e ombre, dalle impreviste variazioni di temperatura.
Chi non è mai stato colpito nel profondo dell’animo dalla presenza della neve sulle piante, dal balenio di un raggio di sole tra le fronde, dallo scorrere delle acque di un ruscello, dall’improvvisa apparizione di un animale, dai colori dei fiori, dal profumo del muschio o più semplicemente dall’incessante lavorio degli insetti?
Chi, passeggiando all’interno di una foresta, non si è mai trovato con la fantasia ad immaginare armoniose sinfonie di suoni e di colori, stravaganti sfilate di improbabili modelle con abiti riccamente e finemente lavorati, spettrali e improvvise apparizioni di crepuscolari creature idealizzanti il mito dell’uomo primitivo?
In questo ambiente, che appare tanto lontano ed immune dalla frenesia della vita e del lavoro di città, la natura può essere apprezzata come luogo di rifugio e di compensazione degli squilibri spaziotemporali ai quali siamo giornalmente sottoposti e quindi offrire anche benessere, sia al corpo che all’animo.
L’ambiente
La breve catena montuosa del Celva-Marzola è geograficamente limitata, nella sua direttrice nord-sud, dalla valle del Fersina e dall’ampia sella di Vigolo Vattaro.
Sopra lo zoccolo basale, costituito da formazioni metamorfitiche dell’Archeozoico e del Paleozoico, si estendono ampie formazioni marine del Triassico.
Le formazioni dell’unità dolomitica triassica, calcari e dolomie massicce, si sono formate in Era paleozoica (250 milioni di anni fa) a seguito della progressiva trasgressione marina che tende ad approfondire i fondi oceanici della Tetide ricoperti di sedimenti pelagici, che saranno poi trasformati in calcari e dolomie.
Dopo circa 150 milioni di anni si assiste ad un nuovo cambiamento, questa volta in senso compressivo (forze tettoniche) con conseguente sollevamento della catena alpina tra cui anche la formazione della Marzola. La fase che ha prodotto la maggior parte delle strutture deformative, oggi osservabili e apprezzabili sulla Marzola, si è esplicata durante il Miocene, circa 20 milioni di anni fa.
Alla forma morfologia della Marzola ha infine contribuito la glaciazione Wuermiana con il deposito di coltri moreniche, ricche di massi erratici qui trasportati anche da grandi distanze. Quindi, il ritiro dei ghiacciai, con la marcata pressione da essi esercitata sui versanti montuosi, ha dato luogo a sgretolamenti e frane di crollo.
Queste frane, unitamente alla generale instabilità delle rocce, hanno provocato la particolare successione di vallecole parallele ai piedi della ripa terminale della Marzola, dove ancora evidenti sono i massi di frana.
Il percorso naturalistico-forestale si svolge in una pressoché uniformità altitudinale, vale a dire tra i 1070 e i 1240 metri di quota. Tale fascia altimetrica corrisponde all’orizzonte montano inferiore, area caratterizzata per lo più dalla zona fitoclimatica del faggio, il Fagetum.
I boschi sono costituiti in gran parte d associazioni di caducifoglie mesofile (Carici-Fagetum in prevalenza, con localizzazioni di Luzulo-Fagetum), boschi misti di abete bianco e faggio (Abieti-Fagetum) e formazioni quasi pure di abete bianco (Abietetum albae).
Le particolari formazioni morfologiche dei siti pongono spesso a diretto contatto in maniera repentina boschi differenti, creando passaggi floristici di grande suggestione.
Il bosco di faggio è stato, e continua ad essere, utilizzato per la produzione di legna da ardere. La pratica della ceduazione in passato ha generalmente prodotto boschi coetanei, a portamento tutt'oggi ridotto, con un generale impoverimento del terreno e quindi della qualità dei soprassuoli.
I piani di assestamento, compilati dall’anno 1957 in poi, hanno impostato l’opera di ricostituzione e di miglioramento del patrimonio forestale imponendo, accanto al rimboschimento delle aree nude o degradate, l’allungamento dei periodi di taglio per incrementare la massa legnosa esistente. Inoltre, mentre una volta si tagliavano in prevalenza le piante più sviluppate, attualmente la scelta al taglio ricade generalmente sui peggiori soggetti (piante malconformate, deperienti, senza cima, danneggiate dai parassiti o da eventi meteorici di particolare intensità).
I boschi cedui invecchiati utilizzati con tale criterio, ovvero avviati ad alto fusto, sono visibili un po’ su tutta la montagna: in particolare, poco oltre Malga Nova, lungo il percorso di ritorno, è ben visibile un bosco di faggio che può già essere considerato una giovane fustaia.
Marzola è il nome che è andato diffondendosi verso la metà dell’Ottocento. Qualcuno lo suppose monte sacro a Marte. Si trattava di invenzioni conseguenti alla cultura del tempo. Suo nome originario e veritiero, quale appare dalle fonti medievali, è Gaza o Predaguda, quindi Cova di Gaza. Gaza deriva da gaggio, bosco in bando, Predaguda equivale a Pietra acuta, Cova significa sommità.
C’erano il “Crozzo sopra Prà Marzon”, la “Val di Prà Marzon”, la fontana dei prati di “Ceràsara” e altre località i cui toponimi esprimevano l’ambiente. Ci fu chi, come il Perini e altri successivi autori, amplificò all’intera montagna il nome, ristretto, della Malga Maranza che sembra corrispondere al Dosso di Malgulo di molte carte medievali.
Il percorso naturalistico-forestale non presenta dunque solo peculiarità ambientali e naturalistiche. L’intero territorio della Maranza è pregno di messaggi di intensa presenza antropica: dall’intenso sfruttamento boschivo, alla presenza dei pascoli e malghe per l’alpeggio, ai grandi lavori di fortificazione della montagna eseguiti alla fine del secolo scorso. Una serie di interventi e di manufatti di origine antropica si sono quindi sovrapposti sula montagna.
Il percorso
L’itinerario naturalistico-forestale è una facile e gradevole passeggiata che si svolge, per lo più pianeggiante, raccogliendo nel suo percorso le principali emergenze floristiche e culturali della Maranza.
In alcuni tratti si utilizzano strade forestali, in altri, sentieri recentemente sistemati dall’Azienda forestale al fine di percorrere un piacevole anello pedonabile nel bosco.
Nella bacheca collocata nel cortile prospiciente il rifugio sono poste in evidenza la planimetria del percorso, l’andamento altimetrico e altre annotazioni utili per l’escursionista.
La partenza è posta presso il rifugio Maranza per dirigersi al Dos de le Spazadore. Da qui il percorso sale al Forte Maranza per proseguire in direzione di Malga Nova attraverso le Valesele passando poco a monte del Prà dei Albi.
Da Malga Nova si aggira un piccolo rilievo transitando per la Calcara dei Frati e quindi per la Busa dei Pézi, il percorso rientra quindi a monte dei Crozi de l’Altar per riportarsi nuovamente nei pressi di Malga Nova. Da qui discesa al Rifugio Maranza passando per Prà dei Albi.
Il rifugio Maranza
Al rifugio Maranza (m 1076) vi si accede percorrendo per circa sei chilometri la strada carrabile che sale dal Passo del Cimirlo.
Vi giungono inoltre numerosi sentieri pedonabili provenienti da Villazzano (SAT n. 412), Povo (SAT n. 413), Vigolo Vattaro (SAT n. 429). Il rifugio Maranza è anche ottimo punto di partenza per escursioni sulla cima della Marzola (m 1740) seguendo il sentiero SAT n. 412.
Il rifugio è di proprietà del Comune di Trento con gestione affidata ai privati. Offre per tutto l’anno servizio bar e ristorante con possibilità di pernottamento e pensione.
Costituiscono il rifugio due edifici affiancati. Originariamente essi accoglievano una malga la cui epoca di costruzione è sicuramente antica.
Infatti la regolamentazione dei pascoli della Marzola, risalente al 1659, cita la locazione di un Malga sulla montagna vicino a Povo, chiamata Maranza, il cui contratto era della durata iniziale di sei anni, in seguito di cinque da pagarsi in rate annuali con scadenza a S. Michele (29 settembre).
Gli edifici attuali hanno ormai evidentemente stravolto l’aspetto originario della malga, essendo frutto di numerosi interventi susseguitisi soprattutto negli ultimi decenni.
Fronteggia il rifugio un ampio prato, residuo dell’originario più esteso pascolo della malga, da dove si diparte il percorso naturalistico-forestale. Al margine del bosco, sulla sinistra, si eleva la cappella edificata dagli Alpini sulle vestigia di un precedente capitello, costruito dagli austriaci e dedicato alla Croce (m 1070). Una data, incisa nella croce in ferro nella lunetta, ricorda il periodo di costruzione: 1914/1915. Una targhetta in plastica ricorda i lavori di rinnovo eseguiti nell’anno 1969 dal Gruppo Alpini di Villazzano.
È una struttura in conci calcarei con tetto in legno coperto di coppi. Restauri recenti si sono susseguiti negli anni 1988 e 1993.
Dalla cappella il sentiero prosegue immergendosi nel bosco di faggio (Fagus sylvatica) che presenta soggetti di notevoli dimensioni.
Il bosco, chiuso e ombroso, presenta esemplari di discreto sviluppo, ramosi e con estesi e articolati apparati radicali, alcuni ben visibili in superficie. La scarsa flora erbacea è rappresentata da ciclamino (Cyclamen europaeum), erba trinità (Hepatica nobilis), luzula (Luzula nivea) e piroletta (Orthilia secunda).
Poco più avanti l’ambiente muta gradualmente trasformandosi in un bosco misto composto da specie caducifoglie, quali il pioppo tremolo (Popolus tremula). Querce (Quercus spp.), carpino nero (Ostrya carpinifolia), frassino minore (Fraxinus ornus) e sorbi (Sorbus aria e Sorbus aucuparia), frammisto a numerosi esemplari di pino silvestre (Pinus sylvestris), aghifoglia resinosa sempreverde.
Il terreno arido, soleggiato e povero di substrato terroso con esposizione aperta ai venti, limita la crescita della vegetazione, lo sviluppo del pino silvestre in particolare appare assai depresso con fusti di portamento prostrato e policormico.
Di estremo interessa la presenza in zona di un esemplare aberrante di pino silvestre il cui tronco è costituito da un fascio d fusti (policormia).
Il Doss de le Spazadore
Proseguendo, immediatamente sotto il Doss de le Spazadore, si apre uno stol. Gli stoi sono ricoveri e punti di osservazione scavati nella roccia dall’esercito austroungarico alla fine del secolo XIX in occasione dei grandi lavori di fortificazione della montagna. Il termine deriva dal tedesco Stoll, caverna.
Tracce di trincea aggirano il rilievo. Il panorama che si può ammirare dal Doss de le Spazadore (m 1100) è immenso. Magnifica è la visione sulla città di Trento distesa nella Valle dell’Adige, sulla Valsorda e sulla sella di Vattaro. Un susseguirsi di cime chiudono l’orizzonte. Frontalmente imponente è quella della Vigolana che culmina col Becco di Filadonna (m 2150). Verso sud visibili sono lo Stivo (m 2059), l’Altissimo di Nago (m 2078) con la catena del monte Baldo (m 2218), il monte Bondone con le sue Tre Cime (Cornet m 2180, Doss d’Abramo m. 2133 e Cima Verde m 2102), il Palon (m 2090). In seconda fila svettano le cime del Gruppo di Brenta (Cima Tosa m 3173) sopravanzate dalla Paganella (m 2097). Verso nord il monte di Mezzocorona (Craunel m 1874) con dietro le cime delle Maddalene mentre a contatto della città di Trento è ben visibile il monte Calisio (m 1095). Verso la sella di Vattaro si possono osservare le cime della Marzòla (m 1735 e m 1740) e, in secondo piano, i rilievi verso Lavarone.
Dal belvedere spesso può accadere di essere osservati dagli alianti che volteggiano nell’aria sorretti dalle favorevoli correnti ascensionali caratterizzanti i luoghi. L’estesa cista sottostante è in gran parte rivestita dal bosco termofilo di querce, carpino nero e orniello, intensamente utilizzato in passato con tagli a raso, attualmente a riposo per favorirne la naturale ricostituzione.
Il sentiero risale la china del Brusaferro passando in un bosco misto che, grazie alla esposizione a sud, presenta specie caducifoglie termofile, tipiche di quote inferiori, appartenenti alle associazioni dell’Ostryo-quercetum e dell’Orno-ostryetum caratteristiche del piano collinare, quali la roverella (Quercus pubescens), il frassino minore (Fraxinus ornus) e il carpino nero (Ostrya carpinifolia). Frequente è la presenza del pino silvestre, del pioppo tremolo e del ginepro (Junieprus communis) che si pone nelle radure soleggiate assieme al pero corvino (Amelanchier ovalis), la lantana (Viburnum lantana), il cotognastro (Cotoneaster tormentosa), i citis (Cytisus spp.), il ginestrino (Genista radiata), l’uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi), l’erica (Erica carnea) e la poligala (Polygala chamaebuxus).
I forti della Maranza
Resti di fabbricati militari annunciano l’arrivo alla spianata del Forte Maranza (m 1150). Questa fortificazione, assieme alle altre limitrofe, rivestì una certa importanza nella militarizzazione austriaca ottocentesca che interessò l’intero ambito montano e collinare attorno alla città di Trento.
A Brusaferro, sopra Valsorda, ad una quota di circa 740 metri, sono presenti le vestigia dell’omonimo forte rivolto a protezione e controllo del valico di Valsorda e dirimpettaio al Forte Fornas, sito sulle pendici settentrionali della Vigolana.
Il forte di Brusaferro è un opera in casamatta di pietra che era armata con sei cannoni da 150 mm. Fu costruito tra il 1878 ed il 1880. Il complesso di fortificazioni si completava con i casamenti a Pramarquart collegati con la strada militare che attraversa longitudinalmente la Maranza, con i forti Cimirlo e Roncogno al passo del Cimirlo.
Altri apprestamenti militari, alquanto interessanti, sono quelli posti sulla cima della Marzola dove un percorso, immediatamente a valle del crinale, ne percorre l’intera sommità completo di piattaforme per cannoniere.
Il forte Maranza, assieme all’Opera alta, sita poco a monte, era utilizzato soprattutto come caserma per le truppe incaricate a sorvegliare le pendici della montagna ed il valico di Valsorda. Furono erette tra il 1879 ed il 1882, in pietrame calcareo e dotate di feritoie per fucilieri e mitragliatrici.
Sorgevano a quota m1148 e 1200. Di esse non restano che alcune tracce nascoste tra la vegetazione. Dal punto di vista botanico è apprezzabile sul pianoro del forte la presenzia di una area colonizzata dal ginestrino (Genista radiata), piccolo arbusto che si caratterizza per i verdi rametti fotosintetizzanti, disposti a mazzetti, e dalle piccole foglioline in gruppi di tre, con fiori gialli ben visibili in estate.
Dell’Opera bassa sono ancora visibili due frammenti di apertura, a est dello spiazzo panoramico.
Al centro del pianoro una botola chiude la cisterna ancora utilizzabile in caso d’incendio boschivo. Profonde trincee aggirano il piccolo terrazzo aperto sulla Valsorda.
Anche qui, come sul Doss de le Spazadore il panorama è ampio e suggestivo.
Alle spalle si eleva il crinale della Marzola. Evidenti sono i detriti di frana che il bosco lentamente sta colonizzando.
Dal forte Maranza il percorso prosegue verso nord passando in un’affascinante galleria verde fino ad incrociarsi con la strada (m 1150) che sale dal rifugio Maranza. Anche questa strada che sale fino all’Opera alta è realizzazione militare. Attualmente vi passa il sentiero SAT n. 412 per la cime della Marzola ed il sottostante Bivacco Bailoni (m 1623).
Il bivacco utilizza una casetta forestale sorte nell’anno 1960, all’epoca dei rimboschimenti che interessarono il crinale sommitale meridionale. Ora è affidata alla SAT di Villazzano che la utilizza come rifugio/bivacco incostudito. È dedicato a Raffaele Bailoni a ricordo della sua tragica morte, avvenuta nel 1960, schiacciato dal proprio trattore mentre trasportava la ghiaia per la costruzione del bivacco stesso. A quell’epoca una piccola teleferica trasportava materiali e cibo in alto, fino allo Stol del Prà Grando, località dove si lavorava per i rimboschimenti d’alta quota e per costruire la casetta.
Sempre lungo il sentiero per la cima della Marzola, si incontrano, poco avanti, i resti di una calcara.
Le calcare sono costruzioni cilindriche, in parte interrate sfruttando il dislivello del terreno, rivestite internamente con sassi di porfido, più resistenti al calore.
Ai piedi della fossa veniva costruita la volta del fornello. Sopra la volta la calcara veniva riempita di pietre calcaree, quindi chiusa in alto con un coperchio di terra argillosa o di creta. Il procedimento chimico di cottura che dura dagli 8 ai 10 giorni, è semplice: il forte calore sviluppato dal fuoco trasforma il carbonato di calcio, la bianca pietra calcarea, in anidride carbonica, che si dissolve nell’aria, e in ossido di calcio, detto anche calce viva, che diventa calce spenta (calcina) con aggiunta d’acqua.
Le Valesele
La strada da prendere è quella frontale, verso nord.
Poco dopo l’incrocio, sul lato sinistro della strada, si eleva un abete rosso con il grosso tronco rigonfiato e deformato di evidenti masse tumorali.
Il sentiero scorre in una valletta tipica della zona. Infatti una serie di avvallamenti paralleli contraddistingue il leggero pendio ai piedi del crinale sommitale della Marzola. È il risultato dei fenomeni franosi che interessano l’intera Marzola, probabilmente originato alla fine della glaciazione wuermiana, quando sono venute a mancare le pressioni tangenziali dovute al ghiaccio. Il bosco ha quasi interamente ricoperto i detriti. Solo i massi più grandi sono ancora visibili.
Resta la particolare conformazione morfologica che acquisisce un appropriato toponimo: Valesele.
La strada conduce al Prà dei Albi (m 1150), una limitata area prativa lambita dal bosco di faggio e da dove è possibile il primo rientro al rifugio Maranza.
Un larice, con il caratteristico portamento a sciabola segna sulla destra la strada da prendere e che conduce, poco prima di giungere all’area prativa, in una valletta parallela alla precedente.
Il posizionamento parallelo di queste depressioni crea situazioni microclimatiche di grande interesse con repentini cambi vegetazionali e ambientali. Il bosco di faggio si trasforma in maniera immediata in una foresta d’abeti, scura e tetra. L’umidità, che probabilmente permea dal sottosuolo, impregna l’aria con una notevole variazione di temperatura.
L’Abieteto (Abietetum albae) che si estende in questa area è costituito in prevalenza da piante di abete bianco (Abies alba), con buona presenza di abete rosso (Picea abies) e larice (Larix decidua).
È un bosco abbastanza compatto, tendenzialmente coetaneo, generalmente con giovani piante di abete che testimoniano l’intenso utilizzo del territorio fin verso gli anni 40. Il larice è presente con soggetti sparsi di maggior sviluppo.
La rinnovazione naturale dell’abete bianco mostra la sua naturale tendenza a riconquistare gli spazi che, in passato, le sono stati sottratti dall’azione dell’uomo.
Il sottobosco è costituito in prevalenza da ciclamino (Cyclamen europaeum), acetosella (Oxalis acetosella), erba trinità (Hepatica nobilis), veronica (Veronica urticaefolia), lonicere (Lonicera nigra, L. xylosteum, L- alpigena), muschi. Da segnalare la presenza della dentari a (Dentaria enneaphyllos).
Malga Nova
Il sentiero, continuando verso nord, giunge proprio nei pressi di Malga Nova (m 1220) situata poco oltre la stanga posta all’imbocco della strada forestale. Si tratta di una ex malga, un tempo posta al centro di una radura, oggi di un fitto bosco di abeti. È a disposizione di alcuni privati ce vi hanno ricavato dei piccoli alloggi utilizzati saltuariamente. Sulla porzione settentrionale, con accesso diretto dalla strada, è stato realizzato nell’anno 1993, in collaborazione con la SAT di Povo, un piccolo locale, sempre aperto, a disposizione degli escursionisti.
Le forme dell’edificio sono quelle classiche della malga, anche se rimaneggiamenti ne hanno in parte modificato alcuni elementi architettonici. A est affianca la malga una piccola valletta dive è collocato un abbeveratoio, ricordo della passata attività zootecnica.
La presenza di una “malga nova” presuppone l’esistenza di una malga più vecchia. Probabilmente la “malga vecchia” corrisponde ad uno dei due edifici del Rifugio Maranza. Infatti, come accennato precedentemente, si sa dell’esistenza di un malga in Maranza già dalla metà del XVII secolo.
La Busa dei Pezi
Da Malga Nova è possibile il rientro anticipato al Rifugio Maranza seguendo la strada forestale in direzione ovest (Sentiero SAT n. 426).
L’itinerario del percorso naturalistico prosegue invece nella direzione opposta, oltrepassando la sbarra che chiude la strada forestale al traffico veicolare.
Il percorso coincide ancora col sentiero SAT n. 426 per il Senter de le Pegore, la Fontana dei Gai ed il Chegul transitando in località Calcara dei Frati, dove un rialzo presente sul lato destro della strada testimonia l’antica presenza di un punto di carico sui carri del legname utilizzato (“cargadora”), e quindi per la Busa dei Pezi (m 1230).
In quest’ultima località, caratterizzata da un evidente avvallamento, si eleva un gruppo di piante di abete rosso (Picea abies) con fusti di notevole sviluppo in altezza.
Uno di questi, nonostante le “normali” dimensioni di circonferenza del tronco (circa 210 centimetri), eleva la sua chioma fino a circa 40 metri d’altezza.
Le piante sono state messe a dimora in occasione di alcune feste degli alberi che si sono svolte nell’anno 1935 e seguenti.
Ma la ricchezza botanica della zona non finisce qui. Interessante poco più avanti la presenza di un vecchio esemplare di acero montano la cui corteccia presenta in superficie delle caratteristiche e singolari ondulazioni.
Proseguendo, poco prima della località Salizoni (m 1240), si abbandona la strada che conduce in discesa al rifugio “Fontana dei Gai”, iniziando il rientro.
La “svolta” è caratterizzata dall’attraversamento di un bosco misto con bei esemplari di larice, presente a gruppi, che sovrastano le più giovani piante di larice e abete.
Poi la struttura coetaniforme di un bosco di faggio a densità uniforme evidenzia i lavori forestali eseguiti per l’innalzamento qualitativo del bosco.
Una vasta zona, nel corso degli anni 1978, 1979 e 1981, è stata infatti avviata ad alto fusto mediante l’applicazione di tagli colturali finalizzati al mantenimento delle migliori piante di faggio.
A valle, presso una panchina, si trovano alcuni esemplari di tasso (Taxus baccata), messi a dimora nel corso dell’anno 1994.
Il tasso è una gimnosperma protetta, una volta molto più diffusa: è caratterizzata dall’elevata velenosità delle sue parti (è detta anche “albero della morte”) e dall’assenza nel legno di canali resiniferi. Sulle piante femminili si possono notare, a maturità, i caratteristici frutti di colore rosso-carmino, detti “arilli”.
Il percorso aggira un piccolo rilievo prima di rimettersi (m 1215), oltre la stanga, sulla strada forestale poco a valle di Malga Nova. Da qui si ridiscende verso Prà dei Albi (m 1150) lasciandosi sulla sinistra un gruppetto di giovani piante di abete rosso piantate verso gli anni ‘60.
I Crozi de l’Altar
Sulla destra (m 1210) l’accesso ai veicoli è sbarrato da una stanga posta all’imbocco della strada forestale che conduce alla località “Crozi de l’Altar” dove, su una bancata di rocce calcaree affioranti, è presente una interessante stazione di rododendro (Rhododendron hirsutum) e rododendro nano (Rhodothamnus chamaecistus).
Quest’ultima affascinante ericacea, arbusto sempreverde dai fiori di un delicatissimo colore rosa-rosso, è presente anche presso il rifugio Maranza, in località “Crozi de Maranza”.
Prà dei Albi
Il prato, in leggera pendenza, è lambito da una caratteristica faggeta con esemplari centenari monumentali: il faggio più sviluppato dell’intera montagna e, probabilmente dell’intero territorio comunale di Trento, si trova ai margini orientali.
Questo bosco unico nella sua possente tipologia strutturale, costituisce l’ultimo lembo di una faggeta termofila submontana (tipica espressione dell’associazione definita ocme “Carici-Fagetum”) una volta poco più estesa.
Sostare sotto le più sviluppate piante di faggio, osservandone la complessa architettura strutturale della chioma, infonde un profondo senso di ammirazione per tale espressione della natura: questi giganti sono dei rari monumenti vegetali da rispettare e tramandare alle future generazioni.
Affascinante e distensiva è pure la visione dell’isoletta prativa all’interno della faggeta.
Più in basso, all’estremità inferiore del pascolo, un sentiero imbocca la valletta che raccoglie le acque del Prà dei Albi. Nell’anno 1912 l’acqua del Prà dei Albi fu raccolta in un serbatoio ed incanalata fino alla malga.
Ancora visibili sono gli accessi ai vasconi in cemento , tutt'oggi utilizzati quali unica fonte di approvvigionamento idrico per il rifugio.
Il percorso di rientro segue la strada militare che aggira questa valletta scendendo velocemente al rifugio Maranza e costituendo il termine della comoda e suggestiva passeggiata nel verde dei boschi della Maranza.